giovedì, 25 Aprile 2024
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Recensione Film La fine è il mio inizio

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La morte è l’unica cosa nuova che mi può succedere

Gli ultimi giorni del grande giornalista Tiziano Terzani che si ritirò a morire sulle montagne pistoiesi, elette a piccolo Tibet personale. La fine è il mio inizio, diretto da Jo Baier, regista tedesco di documentari per la tv è un film-dialogo fra padre e figlio. Chi sta per andarsene, tramite il racconto della propria vita, vuole riallacciare il filo interrotto di corrispondenza con chi rimane. Una serie di confessioni in forma di intervista tra Tiziano e il figlio Folco, dove nella serenità di un incredibile paesaggio il giornalista, lo scrittore, l’uomo, racconta del Vietnam, della Cina nella rivoluzione culturale, del periodo da eremita sull’Himalaya.

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Nato nel 1938 da una famiglia povera nella periferia fiorentina, Tiziano Terzani è stato un giornalista, pensatore e viaggiatore che spinto dalla sua incredibile curiosità partì alla scoperta di luoghi che negli anni 60-70 erano realmente inaccessibili e lontani. Il suo sguardo attento, non compiaciuto e senza preconcetti, ha contribuito a far conoscere la realtà di conflitti e il modus vivendi di stati chiusi come la Cina. Per trent’anni corrispondente dall’Asia scampò a una fucilazione sommaria in Cambogia, durante il crollo dell’URSS visitò le varie repubbliche sovietiche che nascevano nel mentre.

Una vita come quella di un Ulisse odierno dedito alla ricerca di un’immersione totale nel mondo,  dove le esperienze di viaggio non trovano senso solo nella contemplazione delle meraviglie naturali e umane come spettatore. Terzani riusciva infatti a diventare attore primario di ciò che lo circondava fondendosi e perdendosi al suo interno. Quando il male diventò incurabile affrontò la morte in maniera serena, vivendo il dolore fisico, ma non lasciando che la mente cadesse in autocommiserazione. Praticamente la sua vita potrebbe essere oggetto di un film, mentre La fine è il mio inizio è fedele riproduzione del libro scritto a quattro mani con Folco, dove il protagonista non è tanto Terzani, ma il dialogo fra lui e il figlio.

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Diciamo che la pellicola dà ben poco a chi già conosce Terzani e forse è fin troppo ascetico per chi invece non conosce la sua extra ordinarietà. Gli attori, Bruno Ganz e Elio Germano sono scelte azzeccate, ma se Ganz è veramente intenso, Germano portando avanti un’unica espressione dà poco al suo personaggio. Forse l’intenzione di voler sottolineare come Folco fosse sempre defilato, come piegato dalla figura del padre, gli ha un po’ preso la mano. Notevoli la fotografia e le musiche di Ludovico Einaudi, ma il film non è riuscito.

La volontà di scegliere attori tedeschi, che poi sono stati malamente doppiati, non convince. La regia (forse ci saremmo aspettati una mano più dedita a film piuttosto che a documentari) non rende la narrazione coinvolgente. Infatti come il libro è un bellissimo testamento, il film è una breve sintesi, scollegata fra l’altro, del pensiero dello scrittore. La forza e il vigore della parola di Terzani ne escono banalizzate, come in fondo la sua spiritualità e intelligenza. Sono molti poi i temi del libro che mancano completamente: il conflitto comunque presente tra padre-figlio e l’incredibile amore verso la moglie e compagna di una vita.

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Tutta l’operazione meritava più attenzione. Peccato!

 

 

 

 

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