4 maggio 1949, ore 17. L’aereo che riporta a casa il Grande Torino, vincitore di cinque scudetti consecutivi e di una Coppa Italia, è quasi arrivato a destinazione. I giocatori e i dirigenti sono di ritorno da Lisbona, dove hanno disputato un’amichevole contro l’altra grande squadra europea del momento, il Benfica.
LA SPILLA VIOLA
Tra di loro c’è un uomo che sul bavero della giacca ha una spilla particolare: quella dell’A.C. Fiorentina, la sua ex squadra. Si chiama Romeo Menti, ha giocato in viola dal ’38 al ’41 e poi nella stagione 1945/1946: “un’ala destra, scattante e potente nel tiro – così viene descritto dalle cronache dell’epoca – un uomo dal carattere taciturno e schivo”. Le condizioni atmosferiche sopra Torino non sono buone. “Arriviamo”, comunica il pilota all’aeroporto. L’orologio segna le 17.03. Poi più nulla. L’aereo cade sulla collina di Superga, andandosi a schiantare contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica. Muoiono tutti i passeggeri, 31 persone: l’equipaggio, tre giornalisti, lo staff tecnico, tre dirigenti e praticamente l’intera rosa del Torino.
LA TRAGEDIA
E’ un colpo per tutta l’Italia. La guerra è finita da pochi anni, la ricostruzione (materiale e non solo) è lunga e faticosa. E solo dodici mesi prima si sono svolte quelle che resteranno le elezioni politiche più combattute della storia italiana, una vera e propria scelta tra due mondi. In questo contesto, forse, il Grande Torino finisce per rappresentare qualcosa di più di una semplice squadra di calcio. Ai funerali, il 6 maggio ’49, partecipano quasi un milione di persone. “Il pianto di una folla immensa”, titola Tuttosport il giorno dopo.
MENTI
A Firenze ci sono lacrime da dedicare ad un giocatore in particolare. Romeo Menti era arrivato in riva d’Arno dal Vicenza nell’anno della retrocessione del ’38, appena 19enne, e si era subito trovato bene. Nel corso di quel primo campionato in viola segnò 17 gol in 29 partite, risultando decisivo per l’immediata risalita in serie A. E due anni più tardi, nel 1940, la Fiorentina vinse la Coppa Italia, il primo trofeo della sua storia. Con “Meo” – così avevano iniziato a chiamarlo – in campo. Nella stagione ’40/41, poi, i viola centrarono un sorprendente terzo posto anche grazie alle 18 reti segnate dall’ala destra vicentina. E al termine del campionato, per Menti arrivò la chiamata dal Torino, con cui vinse il primo tricolore due anni più tardi. Da lì una sequela di successi, interrotta solo dalla guerra e dal ritorno nella città e nella squadra a cui si era affezionato. “Non mi va di giocare contro di voi, preferirei avere la febbre a 40 per non giocare”, diceva ai suoi ex compagni viola tutte le volte che li incontrava, e così nel ’45 tornò felicemente a vestire la maglia della Fiorentina per una stagione. Poi riprese la cavalcata nel Grande Torino, che lo portò anche ad esordire in Nazionale: il 27 aprile ’47, contro la Svizzera. A Firenze. Settantamila fiorentini ad applaudirlo e lui lì, felice ma troppo riservato per darlo a vedere. L’affetto della città lui lo ricambiò con una tripletta, grazie a cui gli azzurri vinsero 5 a 2.
“PER I VIOLA AVREBBE GIOCATO GRATIS”
“Meo avrebbe giocato gratis per la Fiorentina”, scrisse un suo amico fiorentino sulla rivista Il Campione nel 1956. “Perché rimase viola”, perché parlava di Firenze non appena poteva. Perché il 4 maggio ’49, collina di Superga, sui brandelli della sua giacca fu ritrovata una spilla della Fiorentina. Spezzata, ma ben riconoscibile.