La mostra “Le radici del futuro”, che illustra la storia di San Salvi, si terrà all’Archivio Storico del Comune di Firenze (via dell’Oriuolo, 33-35) dal 13 marzo all’11 aprile. Attraverso le immagini e i racconti di chi viveva all’interno del manicomio fiorentino (tra cui medici, infermieri e malati), si traccerà un percorso evocativo e suggestivo che riguarda una parte importante della storio socio-culturale della città.
LE FOTOGRAFIE. I visitatori potranno osservare i volti, le memorie e i pensieri di chi ha trascorso parte della propria vita a San Salvi. La scelta di uscire dalle mura dell’ex manicomio e di portare la mostra in pieno centro indica la volontà di mantenere aperto un dibattito, un pensiero o, almeno, una memoria circa le sofferenze che hanno segnato chi ha messo piede nell’istituto. Tante delle foto presentate provengono dagli album fotografici di un ex infermiere, Alessandro Ottanelli, che le ha gentilmente concesse perché, è risaputo, una foto vale più di tante parole. Sarà possibile osservare i momenti di vita quotidiana dei “pazienti”, ma non solo. Ad esempio, sono esposte alcune fototessere degli uomini e delle donne considerati inadatti a vivere in società: fino al 1968, infatti, essi erano iscritti al casellario giudiziale, di conseguenza non potevano avere un documento d’identità. Quando poi la situazione cambiò, furono scattate delle foto per rendergli non soltanto un mero pezzo di carta, ma la loro stessa esistenza.
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE. Oltre alle foto, però, c’è di più. Ritagli di giornale degli anni passati, che denunciavano il clima e le limitazioni con cui i malati dovevano rapportarsi quotidianamente. Storie sui “gironi” peggiori dell’Istituto, il V reparto per gli uomini e il IX per le donne, che avevano un significato ben preciso nella mente degli internati: una volta entrati lì, non ne sarebbero più usciti. Sarebbero stati definitivamente cancellati dalla società, divenendo definitivamente “pazzi”, caratterizzati da quella follia da cui non è possibile far ritorno. Sono esposte anche poesie, sia di autori celeberrimi (tra cui Pablo Neruda) che di ex pazienti: significativa è quella scritta tra il 25 aprile e il 1° maggio del 1975 da B.G, internato di 36 anni che stava “scontando” il sedicesimo nell’ospedale psichiatrico. Nelle sue parole, paradossalmente, si leggono la consapevolezza e la lucidità circa l’instabilità mentale che affliggeva sia lui che le persone che gli erano vicine, e la nostalgia per il mondo reale, per la sua famiglia e per tutto ciò che aveva lasciato al di fuori delle mura in cui era costretto a vivere.