martedì, 16 Aprile 2024
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Careggi si prepara all’inverno del Covid: intervista a Stefano Grifoni

“Oggi sappiamo affrontarlo meglio, ma il virus colpirà ancora più persone”. Intervista al dottor Stefano Grifoni

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“C’è un elemento che ci fa ben sperare e un altro che desta un po’ di preoccupazione”. È così, spiega il dottor Stefano Grifoni, che a Careggi ci si prepara alla seconda ondata. La pandemia non accenna ad arretrare e quelli che stanno per arrivare saranno – lo ha detto l’Organizzazione mondiale della sanità – mesi duri. Con il direttore del Pronto soccorso del principale ospedale di Firenze e della Toscana cerchiamo di capire come li si affronteranno dal punto più caldo dell’emergenza.

“Partiamo da ciò che fa ben sperare, l’elemento qualitativo. I pazienti colpiti dal Covid-19 che vediamo oggi sono meno compromessi rispetto a quelli che arrivavano a febbraio e marzo scorsi. C’è però anche un elemento quantitativo: oggi ne arrivano molti di più. Per due ragioni. Non c’è il lockdown, e dunque la gente circola, e si fanno molti più tamponi. Per l’ospedale significa più lavoro”.

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È questo che preoccupa?

Non tanto adesso, ma in vista di quando si uniranno i due virus, quello del Covid-19 e quello dell’influenza stagionale. È questo che ci preoccupa molto perché indubbiamente avremo delle difficoltà a distinguere l’uno dall’altro, anche se abbiamo oggi metodologie utili a farlo.

Per questo serve il vaccino antinfluenzale.

Sarà di grande aiuto, ma dobbiamo puntare in alto. Negli anni scorsi la campagna vaccinale ha raggiunto il 50% circa di copertura, che pure è molto sotto l’obiettivo minimo del 75% fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Oggi non possiamo accontentarci.

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Ospedale Careggi Firenze Covid

A che punto siamo?

In questo momento tutti si vogliono vaccinare ma le dosi stanno arrivando lentamente. Ci vogliono circa tre settimane dall’iniezione prima che il vaccino garantisca la copertura. Se il virus influenzale si comporterà come negli anni passati, pensiamo che il picco dell’epidemia sarà tra i mesi di dicembre, gennaio e febbraio. Sarà quello il periodo più difficile, fino ai primi mesi dell’anno prossimo. Aggiungo che la vaccinazione di per sé non garantisce necessariamente che una persona non possa sviluppare qualche sintomo di tipo influenzale. Il vaccino però protegge dalle complicanze dell’influenza, come ad esempio le polmoniti. Sapere se un soggetto che arriva in ospedale è stato vaccinato contro l’influenza aiuterà a superare alcune difficoltà interpretative dei quadri clinici.

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Anche i medici sono più pronti rispetto alla primavera scorsa.

Certamente. All’inizio ci siamo trovati di fronte a un nemico di cui nessuno sapeva niente. I medici che operavano in trincea hanno visto tutti i giorni, per settimane, i tanti modi in cui aggrediva, lo hanno visto per primi. Abbiamo imparato a conoscerlo, riconoscerlo e individuarlo anche in situazioni più complesse dal punto di vista clinico. A scovarlo, in certi casi. Oggi possiamo arrivare alla diagnosi molto più in fretta.

Vi sentite pronti, quindi, per quello che arriverà nei prossimi mesi?

L’organizzazione ormai è rodata. C’è un sistema che opera a pieno regime con i percorsi separati, terapie intensive, terapie sub intensive disponibili per ventilare i pazienti, un numero di letti sufficiente nel reparto malattie infettive e negli altri reparti. Careggi ha creato il centro Covid che sarà a disposizione nel momento ce ne fosse bisogno. Siamo organizzati bene e la fiducia è sempre necessaria.

Intanto i medici sono quasi usciti dal discorso pubblico. Dalla retorica degli eroi, degli angeli, delle canzoni cantate in terrazza siamo arrivati a non parlarne quasi più. Non vi vengono più riconosciuti gli stessi meriti?

Il personale sanitario ha svolto il proprio lavoro nell’interesse pubblico senza chiedere niente. E senza nemmeno ricevere niente. In primavera si è tanto parlato di adeguarne gli stipendi, oggi quelli che lavorano negli ospedali guadagnano quanto un impiegato di banca. Poi nessuno se ne è più interessato. Un mio vecchio amico medico, quando le persone gli chiedevano come potessero ricompensarlo per quello che faceva, rispondeva: ‘Col sistema più antico del mondo: la moneta’. Forse davvero siamo in una società che rispetta le persone solo in base a quanto guadagnano.

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