venerdì, 3 Maggio 2024
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“Tutto fa”, diceva quella che pisciava in Arno

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Fuori Porta San Frediano, fino a tutto l’Ottocento, due vissuti borghi, quello del Pignone e quello attiguo dei Navicellai, costituivano un’unica località che viveva a contatto diretto dell’Arno, fiume che allora rappresentava la più importante, rapida ed economica via di comunicazione di merci e persone da e verso il mare.

Il Pignone era lo scalo d’approdo d’Oltrarno a contatto con l’albereta dell’Isolotto. Derivò il nome dal porticciolo protetto da un’apposita muraglia a forma di grande pigna (appunto detta “pignone” per la sua mole), la quale oltre a consentire un facile attracco dei natanti, costituiva per loro una tranquilla difesa alle frequenti piene dell’Arno.

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Qui, infatti, approdavano i navicelli che raggiungevano il porto di Signa, in cui erano obbligati a fermarsi i grossi barconi provenienti dal mare, a volte tirati da riva con lunghe funi e grande fatica per superare tratti difficoltosi o avversità atmosferiche, che non potevano proseguire per ragioni di scarsa profondità del fiume.

A Signa, precisamente, venivano scaricati i grossi natanti per poi far proseguire le merci verso Firenze sui più leggeri navicelli dal fondo quasi piatto, i cui barcaioli dettero il nome all’altro borgo, detto dei Navicellai.

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Le cosiddette “Case del Pignone” erano le abitazioni a schiera, costruite parallelamente all’Arno, date a pigione a coloro che lavoravano sul fiume e che ancora si possono individuare lungo le tre direttrici parallele al corso del fiume oggi chiamate via del Pignone, via Baccio Bandinelli e via de’ Vanni, strade segnate dalla vita tipica del “porto” tanto da definire i loro abitanti “gente acquatica”.

Un modo di dire allora in uso era: O gente del Pignone, gente acquatica, accidenti a voi e chi vi pratica, ritenendo questi elementi di grossolana ignoranza, a contatto quotidiano col fiume, poco raccomandabili.

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I navicellai del Pignone anche se poco o punto istruiti, furono però in grado di edificare nel 1700, un loro oratorio dedicandolo a San Carlo, oratorio che, con un suo crocifisso, catalizzò la religiosità dell’intero agglomerato di famiglie che gli sorgeva attorno. La “gente acquatica” del Pignone fu molto devota al piccolo Crocifisso della Divina Provvidenza, detto popolarmente il Crocifisso dei Navicellai, che la leggenda vuole ritrovato da un navicellaio, dopo una piena, proprio all’attracco della sua imbarcazione.

I navicelli, grossi o piccoli, erano prodotti interamente con legno di quercia ed avevano la chiglia piatta per limitare il pescaggio e aumentare la portata del natante; venivano spinti a braccia con lunghe pertiche puntate sul fondo del fiume, usate talvolta anche come remo. Essi costituivano il naviglio mercantile della città, che talvolta si doveva fermare a causa di nefaste siccità che provocavano l’abbassamento del livello dell’acqua.

Questo per i navicellai voleva dire non poter lavorare; a tal proposito si racconta che la moglie di uno di questi lavoratori, nell’illusione di poter offrire il suo se pur modesto contributo alla crescita del livello del fiume, ogni qual volta aveva certe necessità fisiologiche, le faceva proprio sul limitar del greto, nella speranza di essere a sua volta imitata e favorire così il lavoro al marito, nell’ottica che pure le piccole cose, sono utili per raggiungere lo scopo prefisso.

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