sabato, 20 Aprile 2024
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La Fiorita

Maggio, quinto mese dell'anno nel calendario, il cui nome forse deriva dalla dea romana Maia, fino da tempi antichissimi si distingue dagli altri mesi per il rifiorire intenso della natura.

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Maggio, quinto mese dell'anno nel calendario, il cui nome forse deriva dalla dea romana Maia, fino da tempi antichissimi si distingue dagli altri mesi per il rifiorire intenso della natura che in questo periodo assume nuova vitalità con l'esplosione della vegetazione e la profumata fioritura delle rose (dette maggesi) e delle ginestre; di ciò, anche Dante lascia testimonianza con i noti versi: L'aura di maggio muovesi ed olezza.

LA CERIMONIA

Nella tradizione cattolica questo mese è dedicato fino dal XII secolo alla Beata Vergine Maria ed era uso a Firenze infiorare ed inghirlandare tutti i tabernacoli. I colori e i fiori del maggio cittadino sono, inoltre i protagonisti del ricordo ancora oggi rievocato, di un avvenimento storico che segnò, forse più di ogni altro, il passaggio di Firenze dal XV al XVI secolo. Infatti, il 23 maggio di ogni anno ha luogo in Piazza della Signoria la cerimonia della Fiorita. Celebrata una messa nella Cappella dei Priori in Palazzo Vecchio, si forma un corteo di frati domenicani e di cittadini, con alla testa le autorità comunali, civili e religiose, che scende nella sottostante Piazza della Signoria dove i convenuti spargono petali di rose, tra rami di palme, sulla lapide circolare situata sul lastrico della piazza, che segna il punto dove fu impiccato e arso Fra’ Girolamo Savonarola assieme ai suoi due confratelli Fra’ Domenico Buonvicini da Pescia e Fra’ Silvestro Maruffi da Firenze. Dopo tale rito il corteo, aperto da una folta rappresentanza del Calcio Storico Fiorentino, raggiunge Ponte Vecchio, dalle cui spallette centrali vengono gettati petali di fiori nelle sottostanti acque dell’Arno, a similitudine delle ceneri dei tre frati così disperse subito dopo l’esecuzione del loro martirio.

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L'INIZIATIVA

Questa odierna cerimonia prende origine dalla pietosa, spontanea iniziativa popolare che vide, la mattina dopo la morte del predicatore con i due confratelli, il luogo del supplizio coperto di fiori. A pochi metri dalla fontana del Nettuno, sul lastrico della piazza si trova una lapide circolare in granito rosso con caratteri bronzei, che segna e ricorda il punto esatto dove fu impiccato ed arso fra’ Girolamo Savonarola. Era l’alba del 23 maggio 1498, vigilia dell’Ascensione, quando Savonarola con i due frati domenicani, dopo aver ascoltato la santa messa nella Cappella dei Priori nel Palazzo della Signoria, furono condotti sull’arengario del palazzo stesso dove subirono la degradazione da parte del Tribunale del Vescovo. Nello stesso luogo vi erano anche il Tribunale dei Commissari Apostolici e quello del Gonfaloniere e dei Signori Otto di Guardia e Balìa, questi ultimi, i soli che potevano decidere sulla condanna. Dopo la degradazione, i tre frati furono avviati verso il patibolo innalzato nei pressi della Fontana del Nettuno e collegato all’arengario del palazzo da una passerella alta quasi due metri da terra. Sulla forca, alta cinque metri si ergeva una catasta di legna e scope cosparse di olio, pece e polvere da sparo per bombarde perché “meglio ardesse”.

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FIORI E PETALI

Fra le urla della folla fu appiccato fuoco a quella catasta che in breve fiammeggiò violentemente, bruciando i corpi oramai senza vita degli impiccati. Le ceneri dei tre frati, del palco e di ogni cosa bruciata con loro, furono portate via con sollecitudine a mezzo di carrette e gettate in Arno dal Ponte Vecchio per evitare che venissero raccolte e fatte oggetto di reliquie da parte dei molti seguaci del Savonarola presenti e mescolati fra la folla. La mattina dopo, il luogo dove si era verificata l’esecuzione apparve tutto coperto di fiori, foglie di palma e petali di rose. Nottetempo, mani pietose avevano voluto rendere omaggio alla memoria dell’ascetico predicatore, iniziando così la tradizione che dura tuttora. Nel punto esatto dove all’epoca avvenne il martirio (dove oggi ha luogo la Fiorita), vi era anticamente un tassello di marmo, che veniva tolto per collocare il travicello quale perno di sostegno al “Saracino” quando si correva tale giostra. Successivamente, al posto dell’antico tassello disposto per questo gioco equestre, c’è ora la lapide circolare che ricorda il punto preciso dove terminò tragicamente i suoi giorni frate Hieronimo. La lapide in granito rosso, porta questa iscrizione in caratteri bronzei: “Dopo quattro secoli fu collocata questa memoria”. Meglio tardi che mai!

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