Nel corso degli incontri ha intervistato i suoi soggetti e ne ha fotografato gli oggetti della memoria. Una selezione di queste foto verrà esposta in mostra all’Istituto Francese; ogni immagine sarà accompagnata da una frase, una sorta di didascalia estratta dalle motivazioni espresse dai proprietari degli oggetti nel corso degli incontri con l’autore.
Può la fotografia andare oltre la documentazione anche se ci racconta per frammenti delle storie vere e vissute? Si possono mostrare i sentimenti, rivelarli, attraverso alcuni oggetti e che rapporto gli uomini hanno in generale con questi? Gianni Caverni parte da una ricognizione sull’universo dei froncofoni fiorentini. Gente di diverse estrazioni sociali, anche carcerati, persone con delle storie particolari anche difficili alle spalle e con un futuro ancora da inventare. Ma soprattutto francesi trapiantati a Firenze da anni, se non da generazioni, che ormai hanno acquisito una seconda patria, ma a quella d’origine restano sempre legati dai mille fili della lingua, della cultura, della memoria.
Ma non si tratta di un reportage umanistico, non ci sono spazi per i volti né per i personalismi eccessivi: in questo caso le persone sono appena accennate attraverso i dettagli del corpo, una mano, un piede, sono presenze per sempre legate agli oggetti che li circondano. Infatti Caverni ha fotografato il loro ambiente di vita, le cose che usano abitualmente, quel micro universo che li circonda muto ogni giorno. Ne è venuto fuori un mondo dal tempo sospeso che si apre a tante altre potenziali storie proprio perché ogni oggetto, ogni particolare, fanno vivere nella mente dello spettatore altre associazioni mentali, altre suggestioni. Ma nello stesso tempo la capacità di Caverni è quella di non perdere di vista il suo obiettivo di mostrare un universo segreto, non solo personale. Queste fotografie non sono mai astratte, si sente dentro la vita che scorre, che magari rallenta per un attimo, ma che mai si rapprende. Perché probabilmente lo sguardo del fotografo non ha indugiato sulla nostalgia, ma ha cercato il presente e lo ha trovato.
L’uso dello sfocato è controllato, non riguarda mai tutta la superficie dell’immagine, non ha le caratteristiche della percezione indefinita della memoria. E’ utile a mettere in evidenza dei particolari, a oscurare ciò che è inessenziale, focalizzando il puctum laddove esattamente il fotografo ha deciso.
Ne viene fuori una Douce France che è piacere per l’attesa di un rincontro, forse di un ritorno, ma soprattutto di un pensiero che ritorna dolce come una canzone d’infanzia. Vi è anche molta bellezza in queste immagini e la bellezza è una categoria dello spirito che spesso è parente della verità. La lingua unisce persone con storie diverse, con vite magari opposte, ma dà un forte senso di unità e di comunità.
La capacità analitica di Caverni va di pari passo alla sua capacità di raccontare per dettagli, per metonimie. Poi da questi particolari ha inizio un à rebour che ci riporta lentamente alla nostra realtà che ormai si è modificata da queste nuove conoscenze, da queste nuove quanto anonime amicizie, dalle vite degli altri.
Gianni Caverni vive e lavora a Firenze.Con il video “Erba di casa mia” ha partecipato a “Il giardino immaginato – Arte e progetti per il giardino del Palazzo San Clemente a Firenze”, la mostra ideata da Luca De Silva e artisticamente coordinata da Bruno Corà: dall’8 giugno al 7 luglio 2006.Ha esposto in importanti gallerie e musei in Italia, Europa (fra l’altro Vieraana Toscanassa, Hyvinkaan Taidemuseo, Hyvinkaan, Finlandia; Taiteilijat matkalla, Keravan Taidesaatio Taidemuseo, Kerava, Finlandia), Stati Uniti (5 Contemporary Florentine Artists, Museum of Contemporary Art, Lake Worth, Miami, Florida; Artisti in Viaggio, Ann Norton Sculpture Garden, West Palm Beach, Florida; Percorsi dell’anima, Ken Elias Gallery, West Palm Beach, Florida).Da anni collabora con “L’Unità” scrivendo di arte, cultura e sport. Scrive per “Segno”, rivista specializzata di arti visive contemporanee.