giovedì, 28 Marzo 2024
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Clet, l’artista dei cartelli si racconta / FOTO

Arriva dal mare energico e tempestoso della Bretagna, vive da 5 anni a Firenze e ha fatto della street-art la sua missione. E' l'artista Clet. Siamo andati a trovarlo nel suo studio per fargli qualche domanda.

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Arriva dal mare energico e tempestoso della Bretagna, vive da 5 anni a Firenze e ha fatto della street-art la sua missione. E' Abraham Clet, in arte Clet, e da qualche tempo sorprende i fiorentini trasformando i segnali stradali in curiose opere d'arte. La sua giustificazione? “A Firenze ci sono due tipi di street-art: il Rinascimento e i cartelli stradali. Ma mentre il Rinascimento compone la città, i cartelli stradali la invadono. Ed è per questo che io mi permetto di intervenirci”. Non solo segnali stradali, però: Clet è un artista a 360 gradi, basta sbirciare nel suo studio in via dell'Olmo per farsene un'idea.

La sua opera più discussa è 'L'uomo comune'. Posizionata dallo stesso artista su un pilone di Ponte alle Grazie e successivamente rimossa dagli operai del comune, è la scultura stilizzata di un uomo che, con un piede sospeso sul fiume, sta per compiere un passo alquanto rischioso.

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Nella tua concezione originaria qual era il suo messaggio?

L'uomo comune è ognuno di noi. E il passo che fa è uno stimolo al dinamismo, all'andare sempre avanti. Sotto di lui sta il fiume, il baratro, o forse una strada ancora da tracciare. Lui sta lì, fermo in un passo che non compirà mai. Sta allo spettatore e quindi ad ognuno di noi terminare l'opera e decidere se cadere nel fiume o continuare a camminare.

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E'stata organizzata una raccolta firme per riposizionarlo nel luogo per cui era nato, su Ponte alle Grazie.

Sì. E la cosa mi rende molto felice. E' la risposta migliore che si potesse dare alla sua rimozione. Il mio scopo è comunicare con il pubblico e se la petizione è nata dal pubblico ciò non può che rendermi felice. La mia arte nasce per essere capita da tutti e questa è la conferma che effettivamente è così.

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Sei qui da 5 anni ormai. Quindi la tua notorietà è arrivata recentemente. Forse grazie alla tua avventura da street-artist?

Sì, sicuramente. Se fossi rimasto chiuso nel mio studio solo pochi si sarebbero accorti della mia esistenza. Inoltre ci tengo a chiarire che il concetto di street-art non è un concetto nuovo, anzi: anche il David di Michelangelo può essere definito un'opera di street-art. La street-art esiste da sempre e parte dalla necessità dell'artista di comunicare con il proprio pubblico, un pubblico il più possibile vasto.

Dove pensi stia il confine tra street-art e atto vandalico?

La street-art dà sempre qualcosa e non toglie mai. E' costruttiva, tende sempre al nuovo e all'alternativa. Se la prerogativa è creare, costruire e non distruggere allora si può parlare di arte. L'arte porta sempre un messaggio. Altrimenti parliamo di vandalismo.

L'ultima domanda: cosa pensi riguardo alla chiusura di Firenze all'arte contemporanea?

Chi ha dei privilegi come sempre cerca di tenerseli. Ma in questo modo rinuncia alla naturale evoluzione di ogni cosa. L'esposizione dell'opera “For the Love of God” di Hirst in Palazzo Vecchio è stato una bella iniziativa. Ma rimarrà sterile se non si crea una rete di iniziative di questo tipo che riguardi prima di tutto i fiorentini e Firenze. Hirst in Palazzo Vecchio e gli artisti fiorentini in periferia? E' paradossale.

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