sabato, 20 Aprile 2024
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L’orologio illuminato della Torre d’Arnolfo

Via dell’Oriuolo prese tale nome perché in una bottega di questa strada, nel 1353, venne fabbricato il primo orologio destinato a ornare la torre di Palazzo Vecchio

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Via dell’Oriuolo prese tale nome perché in una bottega di questa strada, nel 1353, venne fabbricato il primo orologio destinato a ornare la torre di Palazzo Vecchio. Prima di allora, e anche qualche tempo dopo, la strada prendeva il nome dall’antica famiglia degli Albertinelli.

Chi costruì l’oriuolo fu il chiavaiolo Niccolao di Bernardo del Popolo di San Frediano, per la somma non indifferente di 300 fiorini d’oro. L’innovativo misuratore del tempo iniziò a scandire le ore con il rintocco di una campana della torre il 25 marzo 1353, esattamente per il Capodanno fiorentino. Si fermò cinque anni dopo e, grazie al milanese Giovanni Pacino, riprese a battere regolarmente le scansioni temporali della giornata ai cui utilissimi rintocchi si erano già abituati i cittadini. Nel Quattrocento fu necessario un ulteriore restauro fino a che, nel 1667, un nuovo orologio lo andò a sostituire. Questa volta non si trattò di un dispositivo solo uditivo, bensì anche visivo ottenuto per mezzo di una mostra circolare bianca segnata da dodici ore ed un’unica lancetta ruotante segnatempo, che comparve sulla bruna facciata del pietrigno filaretto, alla base della svettante torre.

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L’orologio venne realizzato grazie ad un complesso ingranaggio messo a punto dal matematico fiorentino Vincenzio Viviani, e fu un incredibile successo; una “conquista” del popolo non indifferente e, per corrispondere “al desiderio universale dei cittadini” che lamentavano l’inconveniente di non poter vedere le ore durante la notte, si provvide, due anni dopo, alla sua illuminazione dall’imbrunire fino all’alba. Allora non esistevano altri orologi pubblici illuminati, per cui quello di Palazzo Vecchio fu il primo ad esserlo e l’unico per molti anni. Si proiettava un bagliore luminoso sulla grande mostra bianca, a mezzo di alcuni lumi ad olio muniti di lenti riflettenti, spinte alla sera dal lumaio che provvedeva all’accensione e poi allo spegnimento al mattino. L’operazione veniva eseguita dall’interno della Torre d’Arnolfo, su due guide di ferro che fuoriuscivano da una speciale apertura situata sotto la mostra stessa fra due fessure verticali simili a feritoie. Questo sistema, utilizzato per molti anni, fu abolito in quanto, con il trascorrere del tempo, si ritenne “poco pratico ed efficace”.

Ormai ai primi dell’Ottocento, su proposta del professor Innocenzo Golfarelli, direttore delle Officine Galileo, si pensò, senza poi realizzare, d’illuminare la mostra dell’orologio “con un riflettore elettrico da collocarsi nella terrazza soprastante la Loggia de’Lanzi, ma tale progetto non venne altrimenti attuato, sia per la complicazione del sistema e sia per la spesa elevata che a quell’epoca esigeva la produzione dell’energia elettrica”. I tempi non erano ancora maturi, per consentire alle lampade ad incandescenza, collegate alla rete d’illuminazione pubblica, l’attuale visione notturna dell’orologio. Nel 1903 però, la modernizzazione si fece avanti in modo prorompente. Dagli atti del Consiglio Comunale del gennaio di quell’anno, l’Amministrazione approvava il progetto per l’installazione di sei orologi elettrici, deliberandone l’acquisto dalla Casa Wagner di Wiesbaden da collocarsi: “uno nella sala dell’Assessore ai Lavori Pubblici, un altro a doppio quadrante, trasparente, di cm. 65 di diametro, in Piazza Cavour, poggiato su mensole a braccio di ferro battuto e illuminato in tempo di notte a mezzo di fiammelle a gas. Due simili al precedente, uno sull’angolo di Via degli Speziali e l’altro sull’angolo di Via dei Banchi e Via Rondinelli.

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Uno a un solo quadrante in Piazza della Calza in prossimità di uno dei fanali a gas ivi esistenti, in modo che possa essere veduto anche di notte. Uno, simile al precedente, venga montato presso la Porta a S. Frediano”. Il tutto per una spesa complessiva di £. 2.868,34 compreso imballaggio, trasporto ferroviario e spese doganali. Per l’ordinaria manutenzione i sei orologi venivano affidati alle Officine Galileo. Il consenso generale riscontrato dalla cittadinanza fu talmente positivo e unanime, che indusse addirittura l’Amministrazione Comunale a comunicare da parte dell’Ufficio Tecnico, al Magistrato di Vienna il successo ottenuto dagli orologi elettrici forniti dalla Maison ch. Thoed Wagner. Visto il felice esito dell’installazione dei sei innovativi orologi, l’Amministrazione, il 4 aprile 1906, ne approva la dislocazione di altri dieci, questa volta però “pubblicitari”, forniti gratuitamente dalla Ditta di Aldo Veneziani, del fu ingegner Federigo e Soci di Bologna che collocherà a sua cura, nel centro cittadino in punti da stabilirsi. Tali “orologi reclame” a titolo di esperimento avevano un decorso di 5 anni “tacitamente rinnovato per egual tempo, qualora 6 mesi prima della sua scadenza nessuna delle parti dia all’altra formale disdetta”.

La fornitura degli orologi era completamente gratuita perché la Ditta Veneziani usufruiva degli appositi spazi sugli orologi stessi su cui riscuotere la pubblicità. Un bel disegno a china dell’orologio mostrava le superfici segnate con le lettere C, D, E sulle quali apporre le pubblicità. Il Comune si riservava inoltre la facoltà di vietare quelle forme di reclame “che ritenesse offensive alla morale” imponendo alla ditta di ottemperare subito alla rimozione, “sotto pena di immediata decadenza della concessione”. L’Amministrazione si riservava anche il diritto di verificare in ogni momento “il buon funzionamento degli orologi e per ogni irregolarità constatata, la ditta assuntrice dovrà sottostare ad una multa variabile da £ 10 a 50. Accertate tre contravvenzioni al riguardo, il Comune avrà facoltà di rescindere il contratto o di procedere alla riparazione occorrente, a spese della ditta che non provvedesse nel termine assegnato”. Ormai la modernità aveva fatto breccia e la città si stava aprendo a nuove idee.

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