Quel giorno centinaia di operai del Pignone, della cartiera Cini di via Arnolfo, delle vetrerie Taddei di Empoli, delle fabbriche laniere di Prato, ma anche giovani e artigiani arrestati in piazza Dalmazia e a San Frediano, oltre a numerosi antifascisti già rinchiusi alle Murate, vennero ammassati proprio alle ex Leopoldine, in piazza Santa Maria Novella, per poi essere trasportati a forza nei lager nazisti.
I Gonfaloni hanno aperto la celebrazione, alla quale hanno preso parte l’assessore all’educazione del Comune di Firenze, il presidente del consiglio comunale, l’assessore provinciale alla pubblica istruzione ed il presidente della giunta regionale Toscana. A testimoniare i terribili anni della deportazione Mario Piccioli, ex deportato e presidente della sezione Aned di Firenze e Tiziano Lanzini, vicepresidente dell’Aned di Firenze. A coordinare Alessio Ducci, segretario Aned.
«L’8 marzo in Toscana è anche questo, l’anniversario di una strage degli innocenti – ha detto l’assessore all’educazione Rosa Maria Di Giorgi – essere qui oggi è un obbligo verso coloro che sono partiti e non sono tornati, un modo per far capire la nostra riconoscenza per il sacrificio di quanti, in modo consapevole ma come semplici cittadini, hanno fatto la scelta giusta e hanno dato la loro vita per riportare dignità al nostro paese e costruire le basi della nostra democrazia. Gli scioperi del 4 e 5 marzo 1944, i più importanti dopo vent’anni di dominio fascista, si inseriscono a pieno titolo nel contesto della Resistenza a Firenze con la presenza organica, accanto alle formazioni partigiane, della lotta sociale e in particolare della fabbrica. Fu la più grande protesta di massa con la quale dovettero confrontarsi nazisti e fascisti: attuata dimostrativamente senza aiuti dall’esterno, senza armi ma con grande energia e sacrifici. Fu il preludio, nella nostra città, di quella lotta che ebbe il culmine l’11 agosto, con la liberazione».
«Il ricordo come dovere – ha aggiunto l’assessore – anche per educare i giovani. Non esiste alcun antidoto per il ripetersi dell’orrore, se non la consapevolezza dell’orrore stesso. A proposito dell’Olocausto Primo Levi, ne ‘I sommersi e i salvati’, ha scritto che ‘Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire di dove nasce e stare in guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre’. Tocca ai giovani, dunque, sono loro dover passare il testimone, perché il futuro non ripercorra gli sbagli del passato e non vengano meno i valori di libertà e uguaglianza sui quali si fonda la nostra convivenza civile».