È lei la madrina della mostra fiorentina (vedi foto in basso), Dora Maar, amante e musa di Pablo Picasso, che si vede spuntare dalle locandine dell'esposizione di Palazzo Pitti, dal 20 settembre al 25 gennaio al piano nobile di Palazzo Strozzi.
È in ogni angolo della città, nelle gigantografie e sulle piccole targhe che penzolano nei bus. Per lei, per Dora, che come tutte le amanti del grande artista ha vissuto di un fortissimo amore-odio nei suoi confronti, questo è una sorta di riscatto essere la protagonista, il simbolo, dell'appuntamento fiorentino.
La mostra
Picasso e la modernità spagnola. Opere della collezione del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, curata da Eugenio Carmona, contiene 90 opere in totale di cui circa 35 del maestro, tutte di altissima qualità e tutte in arrivo dal museo madrileno. Ma quali sono i tre fiori all'occhiello?
Il Reporter ha selezionato i suoi preferiti. E ha deciso di raccontarveli un po'.
L'amante intellettuale e i guanti insanguinati
Pablo Picasso (Malaga 1881‐Mougins 1973) Ritratto di Dora Maar 27 marzo 1939, olio su tavola, cm 60 x 45. Collezione del Museo Reina Sofía, Madrid, DE01840, immagine soggetta a diritto d’autore
Il primo è, inutile dirlo, il Ritratto di Dora Maar del 1939. Chi non conosce bene la loro storia, deve sapere che il pittore e la fotografa francese – che avevano 26 anni di differenza – si incontrarono a Parigi grazie ad un amico comune, il poeta Paul Eluard.
Una delle prime volte in cui si videro Dora, che indossava dei guanti bianchi, era intenta a colpire con un coltello lo spazio tra un dito e l'altro, senza apparentemente prestare troppa attenzione alle ferite che si procurava e alle macchie ai suoi guanti candidi. Picasso ne rimase talmente colpito che conservò a lungo quei guanti su una mensola nel suo studio.
Di lì a poco cominciarono a frequentarsi e la loro relazione – molto turbolenta – andò avanti per nove anni. La Maar veniva continuamente umiliata dal pittore, anche se lui la considerò per molto tempo la sua musa, ritraendola in tantissimi dipinti.
Nel 1943 (dopo nove anni dal loro incontro) Picasso la lasciò e lei cadde in una profonda depressione, tanto che fu ricoverata e subì numerosi elettroshock. Nonostante questo, viene ricordata come una delle pochissime amanti del pittore che non morì suicida (se si può considerare una consolazione).
La modella giovanissima
Pablo Picasso (Malaga 1881‐Mougins 1973) Donna seduta appoggiata sui gomiti (Marie –Thérèse) 8 gennaio 1939, olio su tela, cm 92 x 73. Collezione del Museo Reina Sofía, Madrid, DE01162, immagine soggetta a diritto d’autore
Il secondo dipinto che abbiamo scelto ritrae un'altra delle sue amanti (che niente avevano a che vedere con la moglie, con la quale rimase sposato fino alla morte nonostante i pessimi rapporti), Marie-Thérèse Walter e si intitola “Donna seduta appoggiata sui gomiti (Marie –Thérèse)”.
Il rapporto con Marie-Thérèse, dalla quale il maestro ebbe anche un figlio e che fu lasciata per Dora Maar, era molto diverso da quello che avrà in futuro con la fotografa. Mentre Picasso considerava la Maar un'intellettuale, per la Walter nutriva soprattutto un'attrazione fisica.
La maniera differente in cui l'artista percepiva le due donne si capisce anche dal modo in cui le ha dipinte nel corso degli anni. Maria-Thérèse era sempre colorata e raggiante, mentre la Maar, cupa e melanconica. Anche lei visse un rapporto controverso col pittore e finì per uccidersi, qualche anno dopo la morte di Picasso.
Guernica: L'inno antifascista di Picasso
Pablo Picasso (Malaga 1881‐Mougins 1973) Testa di cavallo. Schizzo per Guernica 2 maggio 1937, olio su tela, cm 65 x 92. Collezione del Museo Reina Sofía, Madrid, Legato Picasso, 1981, DE00119, immagine soggetta a diritto d’autore
L'ultimo dipinto selezionato è il particolare dello studio preparatorio di uno dei più impattanti dipinti mai realizzati dall'artista. Si tratta della “Testa di cavallo” realizzato mentre stava studiando come comporre Guernica, il mastodontico capolavoro creato dopo il bombardamento aereo della città omonima, durante la guerra civile spagnola.
Il quadro fu creato per decorare il padiglione spagnolo durante l'Esposizione mondiale di Parigi del 1937 e su ordine dell'artista non sarebbe dovuto tornare in Spagna fino alla fine del fascismo.
E Picasso fu accontentato, perché per un periodo fu ospitato al Moma di New York e rientrò in patria (al Reina Sofia) otto anni dopo la morte dell'artista e sei dopo la scomparsa del dittatore Francisco Franco.
Certo, la Testa di cavallo – come gli altri disegni preparatori esposti a Firenze in una sezione speciale – non sono magniloquenti come l'enorme tela (oltre 7 metri per 3) custodita a Madrid, ma ognuno di essi contiene tutta la forza e il dolore che il pittore voleva esprimere il quel momento.